Una class action intentata nel 2011 da un gruppo di utenti porta Apple davanti alla Corte Suprema, che dovrà decidere se l’App Store rientra nella fattispecie del monopolio. Al momento Apple pare sfavorita
Sin dai tempi di Steve Jobs e del primo iPhone, passare dall’App Store è l’unico modo lecito per installare nuove applicazioni (gratuite o a pagamento) sul nostro iPhone. Questa modalità d’uso ha portato l’App Store a diventare il negozio virtuale più redditizio del web, popolato da milioni di applicazioni e con un grado di sicurezza molto alto.
Tutto questo però potrebbe cambiare. Molto tempo fa, infatti, un gruppo di utenti denunciò Apple perché a loro giudizio l’App Store sarebbe un sistema monopolistico. Fin qui niente di nuovo sotto il sole: la tesi, però, sostiene che costringendo i possessori dell’iPhone ad acquistare le app esclusivamente sull’App Store, i prezzi siano aumentati a causa della mancanza di concorrenza.
La causa civile, avviata nel lontano 2011, approda in questi giorni davanti alla Corte Suprema: ieri, infatti, si è tenuta l'attesa udienza dei legali di Apple e pare che le prime impressioni non siano favorevoli all'azienda: ciò nonostante, la sentenza arriverà solo a giugno 2019 ed è possibile che Apple riesca, nelle prossime sedute, a ribaltare il sentiment generale. Sta di fatto che se non ci riuscisse, la sentenza potrebbe costringere Apple ad aprire il mercato a nuovi negozi per la vendita delle app.
Si andrebbe, in pratica, a delineare anche per l’iPhone la stessa situazione che vige attualmente su Android. Difatti i dispositivi del robottino verde hanno la possibilità di scaricare le app da più piattaforme, oltre che da quella ufficiale di Google (Google Play). Esistono infatti svariate alternative fra cui scegliere, con lo shop di Amazon e il Samsung Galaxy Apps fra i più famosi ed utilizzati.
La difesa della casa di Cupertino verte sul fatto che Apple non venderebbe direttamente app nell’App Store, ma si limiterebbe a gestire questo spazio virtuale mettendo in comunicazione venditore ed acquirente, trattenendo una percentuale su ogni vendita. Se venisse riconosciuto il fatto che Apple non è un venditore ma un semplice intermediario, ogni rivendicazione cesserebbe portando alla cancellazione della causa.
Sposando in pieno questa teoria, la corte processuale di San Francisco aveva dato ragione ad Apple nel giudizio di primo grado. Il ricorso in appello degli accusanti però, ha contribuito a riaprire il caso e a passare la palla alla Corte Suprema che dovrà pronunciarsi su questa questione che promette di essere molto scottante.